Dal mondo della sofferenza psichiatrica sale un grido di allarme. Chiuderanno il 31 marzo i sei ospedali psichiatrici giudiziari italiani, comunemente chiamati Opg e una volta conosciuti come manicomi criminali.
La decisione è stata presa dalla Commissione parlamentare presieduta da Ignazio Marino, dopo che il Presidente della Repubblica parlò di “orrore medievale”, riferendosi allo stato di degrado di queste strutture.
Una conquista di civiltà condivisibile al 100%, ma che nasconde molte incognite, in particolare non si sa come saranno curati gli oltre mille ospiti degli Opg, perché a oggi non sono nate le strutture sanitarie che dovrebbero accoglierli.
Si stima che un buon 30% sarebbe immediatamente dimettibile, ma i malati sono ancora internati perché per loro non esiste un piano terapeutico e non si sa ancora quali strutture sociosanitarie potrebbero accoglierli.
Chi si prenderà cura di queste persone? Perché le regioni non hanno provveduto alla creazione di quelle strutture sanitarie, con medici e infermieri, in grado di assistere i malati nel rispetto della loro dignità umana?
Le risposte indicate sono come al solito le lungaggini burocratiche. I fondi (in tutto 173 milioni) per la creazione di queste strutture sanitarie sono arrivati alle Regioni solo da qualche settimana.
Si partirà probabilmente con un anno di ritardo: le Regioni hanno 60 giorni per presentare i loro piani per l’impiego delle risorse. Dopodiché, il piano tornerà al Ministero della Sanità il quale darà l’ok per l’inizio dei lavori. Impossibile, ovviamente, che tutto sia pronto entro la fine di marzo.
A questo si aggiunga che, in base alla legge, dal 1º febbraio gli Opg non possono più ricevere pazienti. I magistrati in sede di condanna di una persona che cosa devono fare?
La Società Italiana di Psichiatria chiede una proroga dei termini al fine di trovare una soluzione alternativa temporanea che tamponi l’emergenza. Finora, si tratta di una richiesta che non ha ricevuto ancora alcuna risposta. Il rischio vero è che le persone malate finiscano nelle carceri sovraffollate e non adatte a curare queste persone.