Chi crede ancora nella pena di morte?

La morte di stato arretra nel mondo anche se i numeri reali dei giustiziati resta ancora alto. A dirlo è Amnesty International che ha reso noto il bilancio 2012 sulla diffusione della pena capitale.

salil-shettyL’anno scorso sono state almeno 682 le persone giustiziate, un numero sempre sottostimato perché i paesi sono molto restii a fornire dati precisi. Il tema è diventato imbarazzante per tutti i paesi.

I più a disagio sono senz’altro i maggiori carnefici del globo: Cina, Iran, Giappone, Arabia Saudita e Stati Uniti.  Hanno ripreso le esecuzioni invece Pakistan, India, Gambia e Giappone.  In teoria i paesi dove si pratica la pena di morte sono 58, ma soltanto 21 hanno eseguito le condanne nell’anno passato. Dieci anni fa i paesi che uccidevano per legge erano 28.

Secondo Salil Shetty, segretario generale di Amnesty, «nel mondo solo un paese su 10 continua a usare la pena di morte. I loro leader dovrebbero chiedersi perché applicano ancora una pena crudele e disumana che il resto del mondo sta abbandonando».

Il trend favorevole all’abolizione sembra allargarsi anche perché nessuno più scommette sull’effetto deterrenza della pena capitale. Insomma studi e statistiche dimostrano che i crimini non diminuiscono.

I metodi più usati dai boia, sono sempre i soliti: iniezione letale, impiccagione, fucilazione, decapitazione. L’anno scorso in Arabia Saudita si è verificato un caso raccapricciante: un decapitato che è stato anche crocefisso, un’inutile crudeltà da parte dell’autorità saudite che credono ancora alla gogna pubblica.

Fra i carnefici più attivi al mondo ci sono gli Stati Uniti, dove il numero di giustiziati è sempre più declinante. Il motivo è solo economico: fra rinvii, appelli e revisione il costo dell’intera procedura è diventato insopportabile anche secondo i più accaniti difensori della pena estrema.

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