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Un tesoro dimenticato dalle istituzioni e sottovalutato dalla società

La recessione economica iniziata nel 2009, e dalla quale (stando agli ultimi dati Istat) l’Italia fatica ancora a riprendersi, ha segnato duramente la categoria degli artigiani, imprenditori di sé stessi ed emblema dell’eccellenza italiana.   

Recenti studi realizzati dalla CGIA offrono un quadro poco rassicurante su questi lavoratori autonomi a Partita IVA. Da un’analisi a livello macro, che parte dal 1970 e arriva al 2015, risulta un calo del 43% degli apprendisti artigiani, e nel periodo di crisi tra 2009 e 2015 ha toccato il 45%: la categoria fatica a trovare nuove leve. Guardando poi all’ultimo anno, le attività sono diminuite dell’1,2%, corrispondente a 16.300 unità.

Sono dati scioccanti se si pensa che l’Italia, fino a qualche anno fa, era considerata il paese dei piccoli imprenditori e l’artigianato un fiore all’occhiello del Made in Italy, esportato in tutto il Mondo. La tradizione del Belpaese lo ha reso un punto di riferimento nel mercato internazionale in una serie di settori, dall’alimentare al manifatturiero. Moda, design, e molti altri, potevano essere un’arma efficace contro la crisi. Ma così non è stato.

Artigiani a rischio povertà  

Ad allontanarsi da questa categoria sono soprattutto i giovani, che prediligono lavori da dipendenti, meno colpiti dalla crisi e rifugio di molte Partite IVA.

La CGIA di Mestre spiega come una famiglia con reddito da lavoro autonomo su quattro si sia trovata in serie difficoltà economiche negli ultimi anni. Per i nuclei in cui il capofamiglia ha come reddito principale la pensione, invece, il rischio si attesta al 21%, mentre per quelle che vivono con uno stipendio da lavoro dipendente il tasso si ferma al 15,5. Una differenza che fa riflettere, che scoraggia l’iniziativa e che porta a cercare sicurezza dietro a un lavoro subordinato.

Difficile non farsi sopraffare dalla paura di fallire e non avere alcun tipo di sostegno dagli organi statali (cosa di cui possono avvalersi i lavoratori dipendenti). Difficile non farsi assalire dalla paura di essere sommersi da troppe tasse e di non riuscire a far fronte alle spese, dalla paura di trovarsi senza alcuna tutela, dalla paura di essere soli in un oceano di avversità.

Un problema istituzionale o culturale?

Il cancro dell’artigianato viaggia su due binari: uno istituzionale, l’altro culturale. Il problema istituzionale riguarda l’assenza di un piano di intervento per il suo rilancio occupazionale. La scarsa considerazione del problema da parte delle istituzioni ha fatto sì che questa categoria sprofondasse sempre più nell’abisso della crisi e si sentisse dimenticata.

L’ostacolo culturale è la svalutazione sociale. La mancanza di attrattiva economica l’ha relegato a lavoro di serie B, facendo perdere a giovani e meno giovani l’entusiasmo di buttarsi in tale attività.

Bisognerebbe iniziare da una rivalutazione culturale dell’artigianato, promuovendo il suo valore e facendo capire alle nuove generazioni e alle istituzioni che è un tesoro da custodire, non un settore da (tar)tassare. L’artigianato che ci ha reso unici nel Mondo può ancora creare molta occupazione.

In Italia, la qualità del lavoro è alta, legata a creatività personale, passione e grande competenza tecnica e artistica: è tempo di riportarla alla ribalta.