Limitare la vendita di armi e missili è un principio di buon senso. Finora però non c’era nessuna convenzione fra gli stati per raggiungere questo obiettivo. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato nei giorni scorsi a New York il primo trattato internazionale che cerca di porre un freno al commercio delle armi convenzionali. Hanno votato a favore 154 Paesi, fra cui gli Usa dopo la svolta del presidente Obama; tre stati hanno invece votato contro: Siria, Iran e Corea del Nord. Tra i 23 astenuti Russia, Cuba, Venezuela e Bolivia.
Il trattato entrerà in vigore solo dopo la ratifica di almeno 50 Stati, presumibilmente già quest’anno. Il documento ha avuto il via libera dopo un decennio di trattative e pratiche dilatorie, che fanno capire quanto fosse avversato questo trattato. Gli interessi in gioco sono del resto altissimi: si stima per il commercio ufficiale di armi un giro d’affari da 100 miliardi di dollari l’anno.
Gli effetti concreti sul mercato delle armi saranno inizialmente limitati, anche perché sfugge al controllo il ricchissimo mercato nero che vale ogni anno almeno 5 miliardi di dollari.
Il principio base su cui si fondano le nuove norme Onu è subordinare la vendita delle armi al rispetto dei umani da parte del compratore. I singoli stati dovranno monitorare, con maggiori controlli sulle licenze di vendita, le esportazioni e accertare che i contratti conclusi fra i privati non violino prima di tutto gli embargo ma anche che non si armino criminali o terroristi.
I Paesi firmatari dovranno presentare ogni anno un rapporto al segretario generale dell’Onu in cui saranno elencate le transazioni commerciali originate nel loro Paese e indicando le misure che hanno adottato per controllare il traffico di armi.