«Faremo tutto il necessario per salvare l’euro» («Whatever it takes»). Con queste parole il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, nel settembre scorso dava il via libera al programma anti-spread, con acquisti illimitati sui mercati per salvare la moneta unica. Un piano che finora, si badi bene, è rimasto sulla carta. Insomma è bastato solo l’annuncio.
In questi giorni la Corte Costituzionale tedesca si pronuncerà sulla legittimità di quel piano di acquisto dei titoli emessi dai Paesi dell’Eurozona in difficoltà. In pratica è come rimettere in discussione quel salvagente lanciato dalla Bce alla moneta unica. Per il momento i mercati sono rimasti a guardare e aspettano la sentenza che si ritiene sarà pronunciata, guarda caso, dopo le elezioni politiche tedesche fissate per il 22 settembre.
Il programma è contestato da Jens Weidmann, governatore della Bundesbank e membro del board della Bce, che non ha mai nascosto la sua opposizione al piano, unico fra i 24 membri della Bce.
Mario Draghi, conscio della delicatezza della situazione, si è presentato in via eccezionale ai tedeschi, intervenendo a uno dei notiziari serali più seguiti della tv Zdf e affrontando alcuni dei punti più controversi del piano, per cercare di rassicurare sulle possibili ripercussioni sulla Germania.
«Garantisco», ha detto Draghi, «che l’uscita dalla crisi non avverrà prendendo la strada dell’inflazione». Il banchiere centrale ha ricordato la «dolorosa» esperienza della sua famiglia, nell’Italia degli anni 70, quando gran parte dei risparmi furono cancellati dall’inflazione.
Il presidente della Bce ha anche assicurato che il programma non servirà ad assicurare la solvibilità dei Paesi destinatari, i quali «dovrebbero mettere in atto riforme economiche come quelle della Germania dopo il 2003».
Il potenziale di destabilizzazione dei mercati è alto. Gli interessi dell’Italia, quelli veri, non si decidono più in patria, ma in Europa. In questo caso, stranamente in Germania.