Si è svolto ieri a Roma un convegno della Confindustria sul tema “L’attrattività dell’Italia per gli investitori esteri”. Dai suoi lavori è merso un dato molto significativo: nel 2012 gli investimenti diretti dall’estero in Italia sono crollati da 34 a 10 miliardi di dollari in un anno.
Il nostro Paese rimane una potenza economica ma alcuni fattori ne limitano la sua attrattività e quindi lo sviluppo economico. Fra questi Confindustria ne ha individuato alcuni: il costo del lavoro e del credito, il prezzo dell’elettricità, la produttività del lavoro, le imposte sulle imprese, l’efficienza della logistica, la complessità delle norme e le lungaggini della burocrazia e del fisco, la mancanza di laureati in ingegneria ed economia, la bassa ricerca, la poca flessibilità nel lavoro e la lentezza della giustizia civile.
Un bel riassuntino di problemi che si conoscono da tempo ma che ancora non sono stati risolti. L’Italia è del resto da anni nelle retrovie per competitività e per facilità di fare impresa. È ovvio che le imprese estere se ne stiano alla larga e la disoccupazione aumenti.
Eppure di multinazionali in Italia ce ne sono ancora molte, nonostante tutto. Fra queste l’Ikea, il colosso svedese dell’arredamento low cost, che sembra credere nel Bel Paese, sia pur in un clima di ostilità creato da alcuni sindacati, da commercianti, agricoltori, artigiani e dalla burocrazia.
L’Ikea ha subito vari “intoppi” in giro per l’Italia: a Treviso dove voleva aprire un centro commerciale con 1500 posti di lavoro; in Piemonte per il suo secondo negozio nella regione che avrebbe portato 250 assunzioni, a Pisa per altri 300 posti e infine a Roma dove ha atteso sette anni per chiudere l’iter burocratico per il suo terzo punto nella capitale.
Altro esempio di multinazionale che resiste è la svizzera Repower, attiva nel settore energia. A Pistoia voleva realizzare una centrale turbogas a metano da 120 megawatt con un investimento superiore a 90 milioni. Dopo un avvio entusiasta dell’iter fra il plauso dei politici locali, il progetto è stato definitivamente bocciato per le proteste dei comitati cittadini e dei produttori di vivai che temevano per l’ambiente, fra lo sconcerto dei sindacati che hanno visto sfumare molti posti di lavoro.