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La dittatura delle finte tutele

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Che piaccia o meno il contesto storico del nostro paese è mutato, con esso sono mutate le regole che governano la nostra economia, imponendoci un approccio innovativo nei confronti delle sfide che ci attendono come nazione.

Macchine statali anacronistiche bloccano la ripresa, incamerando risorse troppo spesso sprecate ma imposte ai cittadini contro il proprio volere; basti pensare ai contributi INPS.

In nome di una tutela pensionistica futura si impone al contribuente una trattenuta dalla propria busta paga, o nel caso ancora più assurdo dei commercianti e artigiani un versamento trimestrale obbligatorio anche nel caso di mancati guadagni.

Una visione medioevale dell’economia arriva a bloccare il lavoro degli artigiani commercianti e imprese che vessate dalla crisi non riescono a versare il balzello all’istituto pensionistico (DURC), aggravando cosi una situazione già precaria. In nome di una tutela futura siamo arrivati a mortificare il presente con uno stato che di imperio pretende di disporre dei nostri risparmi, decidendo le regole; quando e quanto ridarci in futuro, escludendo gli eredi anche da un rimborso su quanto versato in eccesso ma non goduto.

Il versamento delle imposte è un dovere di ogni cittadino, grazie alle quali si contribuisce alla realizzazione dei servizi necessari; ma quando si parla dei propri risparmi ogni persona ha il pieno diritto alla auto determinazione.

Compito di una democrazia è quello di porre le regole per un sano mercato comune e non di essere il mercato stesso. Affidare i propri risparmi al settore privato garantirebbe meno sprechi, una immissione di liquidità nella nostra economia e soprattutto libertà per ogni individuo di costruirsi il proprio futuro nella maniera più confacente alle proprie aspirazioni.

MC

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