Nonostante la grave crisi, l’Italia resta un paese manifatturiero. Ben 15mila imprese di piccole e medie dimensioni mostrano una capacità notevole di cogliere le opportunità che si presentano sui mercati internazionali.
Secondo gli esperti segnali preoccupanti giungono però dalla nascita di nuove imprese. I dati emersi da un’indagine di Global Entrepreneurship Monitor (Gem), indicano che su 10 start up solo 2 sono trainate dalle opportunità del mercato. Un dato in contrasto con quanto accade nel Regno Unito (4 su 10), in Germania (5 su 10), Francia e Stati Uniti (quasi 6 su 10).
Il distacco è ancora più accentuato rispetto alle economie del Nord-Europa: in Danimarca per esempio ci sono 7 imprese 10 imprese di nuova formazione che sono mosse dalla convenienza.
Altri segnali negativi arrivano dalla qualità delle opportunità di fare affari. L’Italia con il suo striminzito 20%, è dietro ai tre grandi dell’Unione e agli Stati Uniti (Regno Unito, Germania Francia e Stati Uniti hanno fatto registrare valori rispettivamente pari al 33, al 36, al 37 e al 43%), ma anche rispetto ai Paesi nordici di vertice dove, con il 66%, primeggia la Svezia.
Cosa frena la nascita di nuove imprese in Italia? La risposta è stata trovata nella sindrome da fallimento che colpisce il 58% della popolazione italiana. Un dato che ci colloca penultimi, appena sopra la Grecia (61%), su 69 Paesi. Un timore che ha radici profonde visto che si conferma da anni a livelli crescenti.
È anche strutturale la debolezza progressiva della propensione a intraprendere: il suo tasso è sceso, fra il 2001 e il 2012, dal 6 al 4%, e il peso delle imprese appena costituite quasi dimezzato, dal 4,4 al 2,4%.
Le start up italiane creano poca occupazione: si collocano nella classe che si riferisce a 0-5 occupati previsti, e ne fanno il fanalino di coda tra i paesi nella classe 6-19.